Il Circolo Amicizia Sarda di Treviso ospita dal 29 Marzo al 18 Aprile 2015 “Grazia Deledda, biografia e romanzo – Mostra fotografica”.
Motivazione del Premio Nobel per la letteratura
« Per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano. »
Citazioni
« Intendo ricordare la Sardegna della mia fanciullezza, ma soprattutto la saggezza profonda ed autentica, il modo di pensare e di vivere, quasi religioso di certi vecchi pastori e contadini sardi nonostante la loro assoluta mancanza di cultura, fa credere ad una abitudine atavica di pensiero e di contemplazione superiore della vita e delle cose di là della vita. Da alcuni di questi vecchi ho appreso verità e cognizioni che nessun libro mi ha rivelato più limpide e consolanti. Sono le grandi verità fondamentali che i primi abitatori della terra dovettero scavare da loro stessi, maestri e scolari a un tempo, al cospetto dei grandiosi arcani della natura e del cuore umano… »
“Leggo relativamente poco, ma cose buone e cerco sempre di migliorare il mio stile. Io scrivo ancora male in italiano – ma anche perché ero abituata al dialetto sardo che è per se stesso una lingua diversa dall’italiana”.
“Io non riuscirò mai ad avere il dono della buona lingua, ed è vano ogni sforzo della mia volontà”.
…Dalle sue parole emerge il quadro di una donna risoluta, coraggiosa e forte ma allo stesso tempo molto riservata e restia a parlare di sé. Il padre di Alessandro, Franz, insieme al fratello maggiore Sardus, raccontò che bastava che la Deledda dicesse loro “Bambini state buoni perché la mamma scrive” e tutta la casa si immergeva in un profondo silenzio almeno nelle due ore del primo pomeriggio quando la Deledda per abitudine scriveva i suoi racconti. “Sia papà sia lo zio vivevano questo momento della giornata come un fatto per certi versi misterioso, non riuscivano a comprendere bene il perché di quel silenzio”.
Decine di romanzi, centinaia di racconti, drammi teatrali, versi, libretti d’opera, dai quali sono state tratte sceneggiature per film, in particolare dal romanzo Cenere (interpretato da Eleonora Duse), molte raccolte di tradizioni popolari sarde: l’attività letteraria di Grazia Deledda è imponente.
Piccola di statura ma grande intellettualmente, nulla la scoraggiava, riuscì, con la sola forza della determinazione a evadere dagli angusti confini di Nuoro, dove era nata il 27 settembre del 1871, per diventare – approdata a Roma agli inizi del 1900 – uno degli scrittori più famosi in Italia e all’estero.
Nel 1926 fu insignita del Premio Nobel.
Per conoscerla come donna e come scrittrice, si può leggere la sua autobiografia nel romanzo “Cosima”, uscito postumo nel 1937, a pochi mesi dalla morte, avvenuta a Roma il 15 agosto del 1936 a soli 64 anni.
Il libro descrive la casa nuorese “grande e solida”, cuore della casa era la cucina, sede delle donne e incrocio di chiacchiere dove la giovane Grazia imparava a conoscere l’animo umano e a desiderare l’evasione.
Animata da un precoce bisogno di emanciparsi e da una segreta quanto chiara vocazione letteraria, Grazia Deledda riempì autonomamente le lacune della sua educazione.
A soli 15 anni Grazia cominciò a pubblicare le sue novelle, consegnandosi alla riprovazione della chiusa società sarda. L’unica chance per perseguire un destino artistico era lasciarsi la Sardegna alle spalle e con questo fine ben fisso in mente stabilì subito coraggiosi contatti con le riviste femminili più in vista del continente, alle quali affidò i primi racconti per la pubblicazione, e con alcuni intellettuali che, colpiti dalle sue lettere e dal suo genio, accettarono di corrispondere con lei e di aiutarla.
Ottenne così il sostegno e l’amicizia dello studioso di tradizioni popolari Angelo De Gubernatis che la coinvolse in una grande ricerca sul folclore sardo, e il critico manzoniano Ruggero Bonghi.
Trasferitasi a Roma grazie al matrimonio con Palmiro Madesani, funzionario ministeriale conosciuto a Cagliari, è un trionfo: i salotti della capitale accolgono benevoli e incuriositi la giovane scrittrice di provincia che consolida di anno in anno una crescente popolarità.
I suoi romanzi incontrano favore critico e gusto del grande pubblico: Elias Portolu, Cenere, Colombi e sparvieri, Canne al vento, L’incendio nell’uliveto, La madre, Il segreto dell’uomo solitario e tanti altri.
Dall’osservazione di ciò che la circondava (i nevrotici maschi della sua famiglia, dal nonno artista al padre fallito, ai fratelli, uno bandito e uno distrutto dalla depressione e dall’alcol) Deledda costruisce personaggi maschili che, se non sono virilmente contro la legge, presentano quella che lei definisce «un’incrinatura» dello spirito.
Così è Elias Portolu, così il Giacinto di Canne al vento, così Paulo nella Madre, o Cristiano nel Segreto dell’uomo solitario. Sono uomini che non sanno governare la potenza di eros (spesso al limite della perversione e dell’incesto) e soccombono sotto la propria fragilità, molto inferiori al coraggio di donne determinate e passionali, forti ma schiacciate dalla societàche le rende mute e impotenti.
A Roma, Grazia abita con il marito e due figli, Francesco (Franz) e Sardus, in un villino del nuovo quartiere romano Italia, dove avevano trovato casa anche le due amate sorelle, Pina e Nicolina.
Raramente frequenta i salotti romani, ad eccezione di quello della contessa Lovatelli, ma non è un’isolata, non è la «massaia primitiva che scrive per un sorprendente talento naturale», come un’iconografia riduttiva ha voluto far credere. In realtà Grazia Deledda era un’intellettuale sottile, colta e informata, che intratteneva rapporti significativi con molti scrittori e artisti del tempo. Era una presenza assidua, per esempio, nella redazione della rivista letteraria Nuova Antologia, dove incontrava De Amicis, Fogazzaro, D’Annunzio, Pirandello, Mascagni…
Ma è soprattutto d’estate, quando con Nicolina e i bambini va in villeggiatura a Viareggio. Nicolina era una pittrice non banale e con lei Grazia entra in contatto con il gruppo di pittori toscani, da Plinio Nomellini ad Arturo Dazzi, da Moses Levy a Lorenzo Viani.
Si riuniscono tutti nella bella casa di Giacomo Puccini a Torre del Lago e passano serate che possiamo immaginare ricche di spirito e di calda amicizia. Anche in seguito, quando a a Viareggio sostituì Cervia sull’Adriatico, seppe ricreare un gruppo di amicizie artistiche: vedeva regolarmente Marino Moretti, Filippo De Pisis, Giuseppe Ungaretti, Alfredo Panzini.
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